Ieri si è svolto la prima “Giornata di educazione e prevenzione contro la violenza nei confronti del personale scolastico”. Chi lavora a scuola se n’è accorto solo se ha aperto qualche sito internet…
Il racconto del MIM
Leggendo il Sole 24 Ore mi sono accorto che c’è stato un incontro che si è svolto ieri al MIM, durante il quale sono stati divulgati i dati relativi ad un monitoraggio interno. Nell’anno scolastico 2022/2023 ci sarebbero stati 36 episodi di violenza nell’ambiente scolastico in Italia. Nel 2023/2024 sono stati 68 e quest’anno (il dato è aggiornato a dicembre 2024) 19.
Gli eventi interessano quasi tutte le Regioni (la Lombardia è la regione con più casi, ma è anche credo quella con più scuole), e riguardano soprattutto il secondo ciclo di istruzione. Le vittime più numerose sono i docenti e gli autori principali familiari e studenti.
La percezione della violenza a scuola
Il Mim ha corredato questi dati con un’indagine commissionata alla SWG sulla percezione del fenomeno della violenza a scuola. Secondo le 1.500 famiglie sentite dalla società di sondaggi, la percezione è che le aggressioni a scuola sarebbero in forte aumento, in particolare quelle fisiche e verbali verso i docenti.
Quali sono le cause dell’aumento degli episodi di violenza? Secondo gli intervistati sarebbero da ricercarsi sopratutto in fattori esterni alla scuola, ed in primo luogo da una relazione sempre più critica della relazione tra scuola e famiglia. Secondo il sondaggio, gli intervistati considerano “del tutto” o “abbastanza” efficaci le decisioni intraprese dal ministero per migliorare il comportamento a scuola.
Le misure punitive servono a poco
Sono d’accordo con il ministro, ma solo quando dice che “la scuola merita rispetto”. Per ridurre la violenza a scuola non basta istituire una “Giornata di educazione e prevenzione contro la violenza nei confronti del personale scolastico”, creare un osservatorio e rafforzare le pene previste dal codice penale per i casi di violenza, minaccia o oltraggio a pubblico ufficiale.
Nella logica della destra, le misure punitive dovrebbero avere il potere di ridurre gli episodi di violenza, perché i potenziali autori sarebbero preoccupati dalla punizione che ora potrebbero ricevere. In realtà non ci sono relazioni evidenti né a livello statistico, né empirico, tra inasprimento delle pene e significativa diminuzione dei reati. Come ha detto nel 2015 Giorgio Santacroce, all’epoca primo presidente della Corte di Cassazione, in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario, “La gravità della sanzione non assicura un effetto di deterrenza, sicché appare criticabile la tendenza del legislatore a inasprire continuamente le pene detentive”.
Ripensare l’idea di scuola
Gli episodi di violenza nella scuola sono solo la cartina di tornasole di un lungo processo di degrado della scuola italiana, figlio del contesto socio-economico neoliberista, che ha portato tra le altre cose alla sciagurata introduzione dell’Autonomia scolastica, con il corollario della dirigenza agli ex-presidi, e ha avviato il tentativo ancora in atto di trasformare la scuola da istituzione ad azienda, in competizione con le altre scuole per accappararsi gli studenti/clienti.
Questa deriva sta trasformando anche la professione docente: l’insegnante sta perdendo il “mandato sociale” di garantire la trasmissione del sapere per assicurare un futuro al nostro mondo, per acquisire un ruolo commerciale di fornitore di servizi a clienti da soddisfare.
Se veramente si vuole intervenire sugli episodi di violenza bisogna ripensare l’idea di scuola che è emersa progressivamente nell’ultimo quarto di secolo, oltre a ragionare su fenomeni collegati come il venir meno della responsabilità educativa collettiva degli adulti, e la progressiva attribuzione alla scuola di tutta una serie di compiti che storicamente e deontologicamente appartengono prioritariamente alla famiglia, e alla società adulta in generale, piuttosto che alla scuola…