10 maggio 1933. Era quasi mezzanotte. Migliaia di studenti percorrevano la Unter den Linden con le loro
fiaccole tra gli applausi del folto pubblico.
La maggior parte di quei ragazzi si trovavano in uno stato di vera e propria vertigine. E come rinfacciarglielo, visto che ci cadevanospesso e volentieri anche gli adulti? “Wir gehoren dir”, e cioè “noi ti apparteniamo”: le tre parole “scritte” con i corpi di diecimila ragazze della Bund Deutscher Madel nello stadio olimpico di Berlino, non erano una frase fatta del vocabolario della propaganda.
Arrivati di fronte all’Università di Berlino, il “futuro della nazione” gettò le torce sul mucchio di libri al centro della piazza.Erano le opere di Freud, Thomas Mann, Remarque e Stefan Zweig, o di autori stranieri come Jack London, H.G. Wells, Schnitzler, Zola, Gide, Freud, Proust. In seguito, alcuni tra i presenti raccontarono che quando le fiamme iniziarono a divampare cadde il silenzio.
Reichstag in fiamme
Hitler era stato nominato cancelliere da poco più di tre mesi, e la Repubblica di Weimar era solo un ricordo. Nella notte del 27 febbraio andò a fuoco il Parlamento tedesco. I manifesti dei nazisti affissi ovunque annunciavano: “Il Reichstag in fiamme! I comunisti l’hanno incendiato: tutto il paese farebbe questa fine se il comunismo e il suo alleato, la socialdemocrazia, ottenessero il potere, anche solo per pochi mesi. Schiacciate il comunismo! Distruggete la socialdemocrazia!”. Non era vero. Ma l’incendio permise ai nazisti di togliere di mezzo il partito comunista, e soprattutto di emanare, il giorno dopo, il decreto di emergenza con cui venivano cancellate tutte le libertà, ed esteso il numero dei reati per cui era prevista la condanna a morte.
Venne compilato un elenco delle persone considerate pericolose per la sicurezza dello Stato. C’erano i nomi di decine di scrittori, artisti, scienziati e uomini di cultura. Qualcuno, come Bertolt Brecht, riuscì a scappare, mentre altri erano già all’estero – Thomas Mann, Grosz, Einstein… – e decidevano di non fare ritorno in Germania.
Non tutti si salvarono o vollero fuggire: scrittori come Carl von Ossietzky e Ernst Wiechert, dopo un primo passaggio nei sotterranei della polizia di Berlino, furono condotti nella prigione di Spandau e quindi nei campi di concentramento.
Le ultime elezioni
In questo clima si svolsero le ultime elezioni della Repubblica di Weimar. Il partito nazionalsocialista conquistò il 44% dei voti. Il 23 marzo il nuovo Reichstag si riunì nel palazzo dell’opera Kroll a Berlino. Bisognava votare una legge per conferire al cancelliere i pieni poteri per quattro anni. Era necessaria la maggioranza dei due terzi. Alcuni deputati erano stati imprigionati, ad altri era stato annullato il mandato, mentre sui parlamentari rimasti c’era la pressione del terrore. Le quinte erano occupate da uomini delle SA e delle SS, a cui era stato affidato il compito di mantenere l’ordine. Tutti i partiti votarono a favore, con l’unica eccezione della SPD.
Nell’autunno del 1933 l’emigrazione antinazista denunciava l’esistenza di 45 campi di concentramento e la deportazione di non meno di 40.000 persone. Negli anni successivi non faranno che crescere.
Il 15 settembre 1935 vennero promulgate le leggi razziali di Norimberga. Privavano gli ebrei dei diritti civili e vietavano i rapporti extraconiugali fra ebrei ed “ariani”. Poco prima Hitler aveva dichiarato che “gli ebrei vanno rimossi da tutte le professioni, rinchiusi nei ghetti, confinati in un preciso ambito territoriale dove possano vagare secondo le loro inclinazioni, mentre il popolo tedesco sta a osservare come si osservano gli animali in natura”. Lo stesso atteggiamento veniva riservato ai rom. La legge per le prevenzione di progenie affetta da malattie ereditarie, e quella contro i deliquenti abituali pericolosi, rese possibile la loro sterilizzazione forzata.
Le Olimpiadi di Berlino
Nonostante tutto quello che era successo, il 1 agosto 1936 venne inaugurata l’XI edizione dei giochi
olimpici estivi tra enormi vessilli decorati con la svastica. La cerimonia d’apertura culminò con una
novità pensata dai nazisti: l’arrivo della fiaccola olimpica. Era stata accesa nel braciere di Olimpia ed
era arrivata a Berlino dopo una staffetta ininterrotta di quasi 3.000 atleti che le avevano fatto compiere 3.200 chilometri. Contemporaneamente Hitler ricevette dalle mani di Spyridon Louis, il vincitore della maratona ai Giochi di Atene, un ramo d’olivo di Olimpia.
C’erano state minacce di boicottaggio – “delle lobby ebraiche” secondo Avery Brundage, multimiliardario, futuro presidente del CIO, e proprietario di un club dove non erano ammesse persone di colore – ma alla fine non successe nulla. Lo stesso Brundage scriverà che questi giochi hanno contribuito “alla pace internazionale ed all’armonia”. Prima delle olimpiadi, le autorità avevano rastrellato circa 600 sinti e rom, confinandoli in una zona malsana tra una discarica fognaria e un cimitero. Il provvedimento era stato giustificato col pericolo che sinti e rom sporcassero l’immagine immacolata della città ospite dei giochi olimpici. E durante i giochi Hitler si rifiutò di stringere la mano a Jesse Owens, il grande dominatore delle gare di atletica: la superiorità
ariana, ferita dalla sconfitta, non poteva abbassarsi a premiare l’avversario. Soprattutto se era di colore.
All’epoca, il generale Walther von Reichenau faceva parte del CIO. Durante la guerra sarà responsabile di quello che uno storico ha chiamato “uno stupendo massacro di ebrei” a Kiev. Se non fosse morto durante la guerra, probabilmente avrebbe finito per essere il primo componente del CIO ad essere processato per crimini di guerra.
Il 19 luglio 1936 era prevista la cerimonia di apertura della terza edizione dell’olimpiade operaia a Barcellona – le altre due si erano tenute a Francoforte nel 1925 e a Vienna nel 1931. Nelle intenzioni di chi l’aveva ideata (il movimento socialista) doveva essere una risposta alle olimpiadi in terra nazista. Ma verrà cancellata proprio il giorno prima dell’inaugurazione per lo scoppio di una guerra civile provocata da un pugno di generali. Causerà un milione di morti.
Il secondo dopoguerra
Le relazioni tra fascismo, nazismo ed il movimento olimpico non si chiusero con i Giochi di Berlino. Il CIO aveva deciso di affidare l’organizzazione di quella che avrebbe dovuto essere l’edizione del 1940 ad un altro membro dell’Asse (il Giappone), e autorizzò l’uso del simbolo olimpico sulle navi tedesche.
Dopo la seconda guerra mondiale diventerà poi un comodo rifugio per fascisti e nazisti. Il nuovo comitato olimpico italiano si lamentò – senza successo – perché era rappresentato all’interno del CIO da tre nobili che avevano servito la dittatura. Qualche anno dopo, ci furono invece proteste all’indirizzo di Karl Ritter von
Halt e del duca di Mecklenberg-Schwerin per i loro trascorsi nazisti. Vennero stoppate prima da Avery Brundage, che difese von Halt definendolo “un perfetto gentiluomo” (nel 1952 gli verrà rifiutato il visto per assistere alle olimpiadi ad Helsinki per essere stato, tra le altre cose, ministro dello sport nel Terzo Reich), e
quindi chiuse dall’allora presidente del CIO, Sigfrid Edström, dicendo “quelli che riceviamo oggi sono vecchi amici”.