Giacomo Matteotti era mio zio
mio padre era redattore del Corriere
fu uno dei 3-4 giornalisti che diedero le dimissioni
insieme al direttore
precipitammo nel disastro economico
la mia famiglia si trasferì a Finale Ligure
poi a Lavagna e a Chiavari
perché erano piccoli paesi di pescatori poverissimi
e la vita costava pochissimo
avevamo due poliziotti al portone
dovevamo comunicare ogni nostro spostamento
e spesso ci perquisivano la casa
fuori dalla scuola
nessuno ci salutava più.
Avevo 19 anni
quando sono salita in montagna
il 9 settembre 1943
in quelle vallate c’erano già delle numerosissime brigate garibaldine
non avevamo armi
non avevamo sapone per lavarci
abbiamo avuto per mesi
piaghe sanguinanti ai piedi.
Ho goduto del massimo rispetto
ho parlato con il comandante Furia
e gli ho detto
“Ho nel cuore
un grande amore
fai sapere ai tuoi uomini
che non mi interesso a nessuno”.
Ho fatto la stessa fame dei miei compagni
– le razioni di farina di castagne come unico cibo –
e gli stessi turni di guardia.
Il 25 aprile
quando ci fu da sfilare vittoriosi
mi misero lì a distribuire i fazzoletti della formazione.
Era finita la guerra
eravamo tornate donne.
Io però avevo la morte nel cuore
Sergio non c’era più
gli avevano sparato alla schiena
in piazzale Lavater
per colpa di una spia.
Lo piansi per tre anni.
Questa poesia fa parte di una raccolta che ho scritto qualche anno fa per raccontare le storie di tanti partigiani. La formula scelta per rappresentarli è quella del verso libero sul modello dello Spoon River. Il libro lo trovate in vendita qui.