Questa era l’introduzione al libro “Oltre il capitalismo. Proposte per uscire dalla crisi sociale, ambientale ed economica” che ho scritto nel 2010. Tutto è ancora molto attuale.
“Gli economisti sono ottimi anatomisti e pessimi chirurghi:
operano a meraviglia sul morto e massacrano il vivo”.
(Sébastien-Roche-Nicolas de Chamfort)
Per anni ci hanno indottrinato con un’ideologia secondo la quale il libero mercato è un modello scientifico perfetto, in cui ognuno, agendo in base ai propri interessi, crea il massimo dei benefici per tutti.
Questa verità rivelata, questo dogma, non ammette eccezioni: se qualcosa va storto all’interno di un’economia di mercato, per esempio se aumenta l’inflazione o la disoccupazione, la sola spiegazione possibile è che il mercato non è veramente libero. Dev’esserci per forza qualche interferenza o distorsione, da cancellare con un’applicazione ancor più rigida dei principi fondamentali, ovvero aumentando il potere del mercato, dell’impresa e del capitale.
Tutto è partito dalla School of Economics dell’Università di Chicago, guidata da Friederich von Hayek e Milton Friedman. Da un piccolo nucleo – grazie ad imponenti finanziamenti – è stata creata un’imponente rete di fondazioni, istituti, centri di ricerca, pubblicazioni, ricercatori, studiosi ed esperti di relazioni pubbliche per elaborare, rendere attraenti e imporre strenuamente e ovunque le loro idee e la loro dottrina. Un’efficientissima struttura di promozione ideologica che aveva compreso a fondo la lezione di Antonio Gramsci sull’egemonia culturale. Se riesci ad introdurti nella testa della gente, acquisterai anche il loro cuore e le loro mani. Un azione ideologica e promozionale pienamente riuscita. Hanno speso centinaia di milioni di dollari ma sono riusciti a far apparire il mercato libero come la “naturale” condizione del genere umano, una sorta di decreto divino, la sola ed unica forma di ordine sociale ed economico possibile.
Poco importava i disastri d’ogni tipo che ha provocato – e provoca – e le folle di sconfitti e di emarginati prodotti. Poco importava che Adam Smith, il padre della teoria economica classica, non avesse mai utilizzato la metafora della mano invisibile per rappresentare la Provvidenza, grazie alla quale nel libero mercato la ricerca egoistica del proprio interesse gioverebbe all’intera società[1]. Bisognava diffondere il Verbo, “come guerriglieri in battaglia”, anche se si rasentava – o si superava – il ridicolo o la follia. Come quando Robert Solow nel 1974 affermava che “l’economia può, in effetti, andare avanti anche senza risorse naturali”, o Julian Simon – un altro economista statunitense – prevedeva, nel 1984, sette miliardi di anni di crescita economica, alla quale solo l’oscuramento del sole avrebbe posto fine[2].
La perfezione classica non ammette alcun compromesso. Ludwig von Mises, forse il più spietato dei puristi, arrivò a condannare addirittura l’intervento governativo nel traffico della droga come interferenza ingiustificata contro le forze di mercato e la libertà dell’individuo[3]. Perché come scrive William Stanley, in The Theory of Political Economy: “è evidente che l’economia, se deve essere una scienza, deve essere una scienza matematica”[4], e in una scienza matematica i valori morali sono – ovviamente – banditi.
E poi è arrivata la valanga. Giovanni Sartori – come tanti altri – si aspettava “lumi dagli economisti. Speravo, tra l’altro, in un loro mea culpa. Perché il fatto è che il grosso della loro disciplina non ha previsto la catastrofe in arrivo. Era impossibile prevederla? Balle. Non solo era prevedibilissima, ma il punto di principio è che una scienza economica che non sa prevedere è una scienza da poco”[5].
C’è voluto uno tsunami economico e finanziario, che, dal punto di vista dei fondamenti dell’economia, “dovrebbe avere la stessa portata dell’osservazione dell’eclissi solare del 1919” – è stata una prova della teoria della relatività di Einstein –, per far collassare in pochi mesi questa dottrina, come ha detto Alan Greenspan, per 18 anni a capo della Federal Reserve[6]. Una dottrina che comunque continua ad avere dei fedeli di stretta osservanza che definiscono così “il campo dei keynesiani”, ovvero quelli “che professano i principi avversi”: “la peste keynesiana invade gli spiriti e io mi trovo quotidianamente dinanzi a persone che presentano tutti i sintomi della malattia. Fortunatamente sono vaccinato e non ho bisogno di richiami”[7].
C’è voluto uno tsunami economico e finanziario, perché l’Accademia delle scienze svedese, dopo aver conferito prestigio morale e “scientifico” alle teorie di Milton Friedman e dei suoi seguaci, dando 25 Nobel – su un totale di 41[8] – ad economisti neoliberisti (contro i cinque assegnati a studiosi vagamente critici del laissez faire)[9], si decidesse a premiare l’editorialista economico più a sinistra della stampa USA, Paul Krugman[10].
Nell’elenco dei Nobel ci sono personaggi imbarazzanti come Robert C. Merton, insignito della massima onoreficenza nel 1997. Su di lui il Bollettino dell’Harvard Business School aveva scritto: “usando la formula di Merton, diventa possibile costruire un portafoglio virtualmente privo di rischi”[11]. Non era prorpio così. Il Long Term Capital Management, l’hedge fund che aveva contribuito a creare, venne salvato dall’intervento delle maggiori banche del mondo, su sollecitazione della Federal Reserve, pochi mesi dopo. La spesa era stata di 3,75 miliardi di dollari. Pochi spiccioli se paragonati alle transazioni finanziarie che il fondo avrebbe fatto saltare con il suo fallimento: 1.250 miliardi di dollari[12]. L’intero mondo finanziario sarebbe stato a rischio implosione.
C’è voluto uno tsunami economico e finanziario, perché Giulio Tremonti scrivesse che: “come si è già visto in tante altre rivoluzioni, quella della globalizzazione è stata preparata da illuminati, messa in atto da fanatici, da predicatori partiti con fede teologica alla ricerca del paradiso terrestre.
Il corso della storia non poteva certo essere fermato, ma qualcuno e qualcosa (…) ne ha follemente voluto e causato l’accelerazione aprendo come nel mito il ‘vaso di Pandora’, liberando e scatenando forze che ora sono difficili da controllare”[13].
Ora anche i più accesi fan del mercato sembrano favorevoli ad un ridimensionamento del ruolo del mercato: l’Economist – la rivista che dal 1843 promuove i valori del liberalismo anglosassone – rivalutare il welfare francese e tedesco a scapito del modello anglosassone, mentre Mario Monti ha auspicato, in un editoriale sul Corriere della Sera, un maggiore coordinamento delle politiche fiscali tra paesi, per evitare che la concorrenza fiscale provochi “una corsa all’abbassamento delle aliquote d’imposta”, riducendo gettito ed “il finanziamento di programmi sociali”[14].
Keynes definisce il capitalismo come “la stupefacente credenza secondo la quale i peggiori uomini farebbero le peggiori cose per il gran bene di tutti”. Una credenza caratterizzata dal primato dell’economia sul sociale, e dal primato del capitale e del mercato nell’economia. Elementi che portano con sé un altro: la crescita continua dell’economia mondiale[15].
Dopo la crisi tutto continuerà come prima? Nessuno lo può dire. Ma le catastrofi e le crisi (come questa), oltre a rappresentare fonti di sofferenza insopportabile, possono diventare anche momenti di presa di coscienza, di rimessa in discussione, di rifiuto e di rivolta – la pedagogia della catastrofi di Serge Latouche[16].
L’incidente di Chernobyl, ad esempio, ha portato anche ad un risveglio della coscienza ecologica del pianeta. Oggi la valanga economica che ci ha travolto potrebbe diventare l’occasione per ripensare interamente l’economia mondiale, perché, come ha detto Kenneth Boulding “chi crede che una crescita esponenziale possa continuare all’infinito in un mondo finito è un pazzo. Oppure un economista”[17].
P.S.: attenzione a chi vi dice che la crisi sta finendo. C’è tanta liquidità nel sistema, e troppi interessi mirano a far lievitare gli indici azionari, anche contro ogni logica e buon senso. Con un mercato azionario in forte ascesa non si riparano i bilanci delle banche ed i consumatori tornano a sentirsi più ricchi e a consumare di più.
Le borse sono tornate a crescere non tanto perché c’erano buone notizie, ma piuttosto per l’assenza d’informazioni disastrose. Il rapporto tra il prezzo delle azioni e gli utili delle imprese sta tornando a raggiungere livelli insostenibili. Questa è una bolla, l’ennesima. Una scorciatoia perfetta: con un bel torello che sgambetta per casa chi ha bisogno di riforme della regolazione, protezione dei consumatori e quant’altro? Ma attenzione, di bolla in bolla il sistema si sfianca[18]. E comunque, il tasso di disoccupazione nell’area dell’Ocse – secondo i dati dell’organizzazione stessa – “dovrebbe continuare a crescere nel 2010 e nel secondo semestre aggirarsi intorno al 10%”, colpendo di fatto 57 milioni persone: “un nuovo record dalla fine della seconda guerra mondiale”[19].
[1] L’unico riferimento di Smith alla mano invisibile è nel libro IV. Egli spiega che alcuni investitori britannici preferiscono investire i loro capitali a livello locale, piuttosto che piazzarli nel commercio coloniale, sicuramente più redditizio, ma più rischioso. Cercando nient’altro che la resa e la sicurezza dei suoi investimenti, l’investitore, dice Smith, è “guidato da una mano invisibile per raggiungere un obiettivo che non è assolutamente nelle sue intenzioni”, vale a dire lo sviluppo dell’industria nazionale. La dimostrazione di Smith, come fa notare Gavin Kennedy, non è una teoria dei mercati. In termini odierni, diremmo semplicemente che l’avversione al rischio può portare a preferire gli investimenti locali, e che questi investimenti aumentano il prodotto interno lordo (PIL). Siamo molto lontani dall’idea di una naturale armonia di interessi (Raveaud G., Blogs éco: réhabiliter Adam Smith, scaricato da http://www.alternatives-economiques.fr/blogs-eco–rehabiliter-adam-smith_fr_art_834_42856.html).
Nella Ricchezza delle nazioni, come la virtù, anche il libero mercato è solo un ideale: “In effetti, attendersi che la libertà commerciale possa mai essere interamente ripristinata in Gran Bretagna è cosa tanto assurda quanto aspettarsi che vi possa essere instaurato il regno di Oceania o di Utopia. Vi si oppongono irresistibilmente non solo i pregiudizi del pubblico, ma anche, cosa molto più decisiva, l’interesse privato di molti individui (…) i padroni delle manifatture” (Cf.Smith A., Indagine sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni, Mondadori, Milano 1977, Libro IV, pp. 442-444).
[2] Anderson K., Skinner T., The Power of Choice: The Life and Times of Milton Friedman, trasmesso dalla PBS, 29 gennaio 2007, cit. da Klein N., Shock Economy, Baldini Castoldi Dalai, Milano 2007, p. 60 ; Bardi U., Tra Scienza e Politiche dell’Energia, 27 luglio 2006, scaricato da http://www.aspoitalia.it/archivio-articoli/106-tra-scienza-e-politiche-dellenergia; Julian Simon, scaricato da http://www.onpedia.com/encyclopedia/julian-simon.
La prima citazione è di Gary Becker, economista conservatore e premio Nobel, che ricordava così il suo maestro Milton Friedman: “La gente mi chiedeva sempre : ‘Perché sei così emozionato ? Hai un appuntamento con una bella donna?’. E io rispondevo : ‘No vado a lezione di economia!’ Essere allievi di Milton era davvero una cosa magica” (Peterson J., Milton Friedman, 1912-2006, in “Los Angeles Times”, 17 novembre 2006, cit. da Klein N., Shock Economy, op. cit., p. 60).
[3] Von Mises L., Human Action: A Treatise on Economics, Yale University Press, New Haven 1949, pp. 728-729 (trad. it. L’azione umana – Trattato di economia, UTET, Torino 1959); cit. in Galbraith J. K., Storia della economia. Il passato come il presente, Rizzoli, Milano 1988, p. 214.
L’integralismo degli economisti neoliberisti non è diverso da quello religioso, per cui non si è mai abbastanza libertari. Ad esempio nel 1971, Murray N. Rothbard scrisse per la rivista “The Individualist” un articolo nel quale definiva le teorie di Friedman come totalitarie e stataliste (Rothbard M. N., Milton Friedman unraveled, scaricato da http://mises.org/journals/jls/16_4/16_4_3.pdf).
[4] Jevons W. S., The Theory of Political Economy, A. M. Kelley, New York 1965, p. 3 (trad. it. Teoria della economia politica ed altri scritti economici, UTET, Torino 1952, p. 36); cit. in Galbraith J. K., Storia della economia… op. cit., p. 142.
[5] Sartori G., Le previsioni fallite, in “Corriere della Sera”, 16 ottobre 2008, scaricato da http://www.corriere.it/editoriali/08_ottobre_16/previsioni_economia_24654d80-9b47-11dd-a5ca-00144f02aabc.shtml.
[6] Carlini R., Fuori i titoli tossici dalle università, 21 maggio 2009, scaricato da http://www.sbilanciamoci.info/Sezioni/globi/Fuori-i-titoli-tossici-dalle-universita.
[7] Garello J., La peste keynesiana, 1 dicembre 2008, scaricato da http://www.brunoleoni.it/nextpage.aspx?codice=7353. Per completare il quadro aggiungo che il sottotitolo dell’articolo citato è Il trionfo keynesiano è dovuto all’ignoranza delle virtù del mercato, e non il solo articolo sul sito web dell’Istituto Bruno Leoni in cui non si fa nulla per nascondere il livore contro Keynes (Cfr. Coco G., Keynes, un economista contro la realtà, scaricato da http://www.brunoleoni.it/nextpage.aspx?codice=8069; anche in questo caso il sottotitolo è significativo: Il keynesismo ha riportato indietro le lancette della scienza economica).
[8] Il premio per l’economia non fa parte dei cinque stabiliti nel 1895 dal testamento dell’inventore della dinamite, Alfred Nobel. È stato assegnato a partire dal 1969, in seguito all’istituzione di un fondo speciale per il premio della Banca di Svezia, la Sveriges Riksbank. Viene comunque gestito dalla Fondazione Nobel e consegnato assieme agli altri premi (Premio Nobel per l’economia, scaricato da http://it.wikipedia.org/wiki/Premio_Nobel_per_l%27economia).
[9] Sono Kenneth Arrow (1972), Gunnar Myrdal – premiato nel 1974 insieme al liberista Friedrich von Hayek –, James Tobin (quello dell’omonima tassa, nel 1981), Amartya Sen (1998) e l’ex capo economista della Banca mondiale Joseph Stiglitz nel 2001 (Vincitori del Nobel per l’economia (cronologico), scaricato da http://it.wikipedia.org/wiki/Vincitori_del_Nobel_per_l%27economia_(cronologico); Carlini R., I saggi invertono la rotta, in “Il Manifesto”, 14 ottobre 2008, scaricato da http://www.articolo11.org/index.php?option=com_content&task=view&id=8952&Itemid=7.
[10] Carlini R., Un premio Nobel keynesiano, scaricato da http://www.robertacarlini.it/?p=105.
[11] Margiocco M., La crisi finanziaria: tutto ebbe inizio con un Nobel, 17 settembre 2008, scaricato da http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Finanza%20e%20Mercati/2008/09/crisi-storia-inizio-nobel.shtml?uuid=602f4d9a-849d-11dd-a8ca-1db806f95cce&DocRulesView=Libero.
[12] LTCM: quando sono i più furbi a sbattere il naso, in “Solidarietà”, anno VI, n. 5, dicembre 1998, scaricato da http://www.movisol.org/ltcm.htm.
[13] Tremonti G., La paura e la speranza. Europa: la crisi globale che si avvicina e la via per superarla, Mondadori, Milano 2008, p. 5.
[14] Bisin A., La concorrenza fiscale, 15 maggio 2009, scaricato da http://www.noisefromamerika.org/index.php/articles/La_concorrenza_fiscale; Monti M., Un patto (vero) per l’Europa, in “Corriere della Sera”, 10 maggio 2009, scaricato da http://www.corriere.it/editoriali/09_maggio_10/un_patto_vero_per_l_europa_mario_monti_editoriale_cb432692-3d2f-11de-bd09-00144f02aabc.shtml.
[15] Ruffolo G., La fine della crisi e il capitalismo che verrà, in “La Repubblica”, 4 agosto 2009, p. 27, scaricato da http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2009/08/04/la-fine-della-crisi-il-capitalismo-che.html.
[16] Latouche S., La mondializzazione e la fine della politica, scaricato da http://www.edscuola.it/archivio/interlinea/lat3.html.
[17] Ravaioli C., Crisi economica e crisi ambientale, 19 gennaio 2009, scaricato da http://www.economiaepolitica.it/index.php/ambiente/ravaioli-pirro/.
[18] La scorciatoia della bolla, scaricato da http://phastidio.net/2009/07/31/la-scorciatoia-della-bolla/.
[19] Crollo dell’occupazione nella Ue. Allarme Ocse: “In Italia il peggio deve venire”, 16 settembre 2009, scaricato da http://www.adnkronos.com/IGN/News/Economia/?id=3.0.3778173528.